1 marzo 2022 – Studiare – ed eventualmente correggere – il microbiota, la popolazione di germi che abitano nel nostro intestino, può migliorare l’efficacia dell’immunoterapia anticancro secondo la più ampia ricerca internazionale mai condotta sulla relazione fra batteri ‘amici’ e nuovi trattamenti antitumorali. Il lavoro, finanziato da Seerave Foundation e pubblicato su ‘Nature Medicine’, è coordinato dal Gruppo di ricerca di metagenomica computazionale del Dipartimento di biologia cellulare, computazionale e integrata Cibio dell’università di Trento e dell’Istituto europeo di oncologia di Milano, guidato da Nicola Segata, in collaborazione con altre équipe fra Paesi Bassi e Regno Unito. “Nel nostro studio abbiamo messo insieme la più grande coorte di pazienti con melanoma e campioni del loro microbiota intestinale, coinvolgendo cinque centri clinici (tre nel Regno Unito, uno nei Paesi Bassi e uno in Spagna) – spiegano i coautori Tim Spector e Rinse Weersma, rispettivamente del King’s College London e dell’università di Groningen in Olanda, co-coordinatori dello studio – Combinando i 165 campioni raccolti con i 147 campioni provenienti da altri studi già disponibili abbiamo svolto uno studio metagenomico (cioè basato sul sequenziamento del microbiota intestinale) su larga scala, e scoperto che c’è un collegamento tra composizione e funzione del microbiota intestinale e la risposta all’immunoterapia”. Un legame “diverso e più complesso di quanto avevamo ipotizzato – precisano i ricercatori – perché coinvolge specie batteriche diverse in coorti di pazienti diverse. In particolare, tre tipi di batteri (Bifidobacterium pseudocatenulatum, Roseburia spp. e Akkermansia muciniphila) sembrano essere maggiormente associati a una migliore risposta immunitaria”. “Studi preliminari su un numero molto limitato di pazienti – sottolinea Karla Lee, scienziata del King’s College London e prima firma dello studio – hanno suggerito che il microbiota intestinale, per la sua funzione di regista del sistema immunitario, gioca un ruolo nella risposta di ogni paziente all’immunoterapia contro il cancro e in particolare contro il melanoma. L’obiettivo del nostro studio era cercare una conferma di questo ruolo, che può avere un grosso impatto per l’oncologia e per la medicina in generale”.
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